Come i funghi trasformano la plastica: il segreto degli enzimi per salvare il pianeta

L’inquinamento da plastica è una delle emergenze ambientali più gravi del nostro tempo. Con oltre 8 miliardi di tonnellate prodotte finora e soltanto il 9% riciclato, questo materiale sintetico sta letteralmente soffocando il pianeta. Tuttavia, la natura potrebbe già averci offerto una soluzione sorprendente: i funghi.

Il potere nascosto dei funghi

Mentre molti li associano a squisite pietanze o alle fastidiose muffe, questi organismi straordinari hanno sviluppato capacità quasi magiche nel corso dell’evoluzione. La loro specialità è scomporre molecole complesse trasformandole in nutrimento.

I funghi sono i decompositori per eccellenza degli ecosistemi terrestri. Da milioni di anni, grazie a potenti enzimi, degradano materiali resistenti come il legno, rompendo la lignina, una delle molecole più ostiche da decomporre in natura.

La scoperta sorprendente: funghi che divorano la plastica

Nel 2011 la comunità scientifica è stata sconvolta da una scoperta rivoluzionaria: in Ecuador alcuni ricercatori hanno individuato un fungo, il Pestalotiopsis microspora, capace di nutrirsi di poliuretano, una plastica molto diffusa. La scoperta non è stata un caso: i funghi hanno adattato i loro enzimi per attaccare strutture molecolari simili a quelle presenti in natura.

Da allora sono stati individuati altri funghi in grado di degradare la plastica:

  • Aspergillus tubingensis: è in grado di degradare il poliuretano in soli due mesi
  • Pleurotus ostreatus (fungo ostrica comune): efficace contro diversi tipi di plastica
  • Schizophyllum commune: particolarmente attivo contro il polietilene e il PET

Il segreto: gli enzimi fungini

Ma qual è il vero segreto di questa straordinaria capacità? La risposta sta negli enzimi, proteine che agiscono come catalizzatori delle reazioni chimiche.

I funghi producono principalmente tre tipi di enzimi per decomporre la plastica:

  1. Laccasi: ossidano le molecole organiche e modificano la struttura dei polimeri
  2. Manganese perossidasi: generano radicali liberi che attaccano i legami della plastica
  3. Cutinasi: originariamente evolute per degradare la cuticola delle piante, si sono dimostrate efficaci anche contro il PET

Il processo è affascinante: questi enzimi agiscono come piccole forbici molecolari, tagliando i lunghi filamenti di plastica in pezzi sempre più piccoli, fino a ridurli a molecole elementari che il fungo può usare come nutrimento. È come se trasformassero un materiale tossico in un banchetto nutriente!

Dalla scoperta all’applicazione: biorisanamento fungino

“La natura ha sempre la risposta; dobbiamo solo imparare ad ascoltarla. I funghi hanno sviluppato queste capacità in milioni d’anni, e ora potrebbero salvarci da un problema che noi stessi abbiamo creato.”

— Dott.ssa Katharina Unger, ricercatrice in biotecnologie fungine

Le applicazioni pratiche di questa scoperta sono rivoluzionarie. Aziende e centri di ricerca stanno lavorando su:

  • Bioreattori fungini: sistemi in cui grandi quantità di plastica vengono trattate con colonie di funghi in ambienti controllati
  • Enzimi purificati: estratti dai funghi e applicati direttamente ai rifiuti plastici
  • Packaging biodegradabile: materiali che incorporano spore fungine capaci di autodistruggersi dopo l’uso

Fatti sorprendenti

Il mondo del biorisanamento fungino è pieno di curiosità affascinanti:

  • Il fungo Pestalotiopsis microspora può degradare la plastica anche in assenza di ossigeno, rendendolo particolarmente utile nelle discariche profonde
  • Alcuni funghi riducono la plastica in microparticelle in sole 8 settimane, un processo che in natura richiederebbe oltre 450 anni
  • Gli studi hanno evidenziato che alcuni funghi non solo distruggono la plastica, ma ne ricavano energia sufficiente per crescere più rapidamente
  • Un esperimento ha dimostrato che una specie fungina può ridurre fino al 90% della massa di un campione di poliuretano in meno di 60 giorni

Sfide e prospettive future

Nonostante l’entusiasmo, restano numerose sfide da affrontare:

  1. La degradazione è stata finora ottenuta principalmente in condizioni di laboratorio controllate
  2. Scalare il processo per trattare miliardi di tonnellate di plastica è estremamente complesso
  3. Diversi tipi di plastica richiedono enzimi specifici
  4. I sottoprodotti della degradazione devono essere monitorati per evitare ulteriori inquinamenti

Tuttavia, i progressi sono rapidi. Nel 2020, ricercatori hanno ingegnerizzato una versione potenziata dell’enzima PETasi, in grado di degradare il polietilene tereftalato (PET) sei volte più velocemente della versione naturale. Combinando le biotecnologie avanzate col potere naturale dei funghi, il futuro appare promettente.

Verso un’economia circolare della plastica

La visione finale va oltre la semplice degradazione. Gli scienziati immaginano un sistema in cui i funghi non solo demoliscano la plastica, ma trasformino i suoi componenti in nuovi materiali utili, creando una vera economia circolare biologica.

Immaginate un mondo in cui i rifiuti di plastica vengano trattati in bioreattori fungini e ne escano composti utili per l’agricoltura o materie prime per nuovi materiali biodegradabili. Non è fantascienza: diversi progetti pilota stanno già sperimentando questo approccio.

I funghi, questi organismi silenziosi e spesso trascurati, potrebbero rappresentare una delle nostre migliori speranze per un futuro più pulito. Come ha dimostrato più volte, la natura aveva già la soluzione molto prima che noi creassimo il problema.

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